IL RITRATTO

Fotografare un ritratto è una delle cose più difficili in fotografia. Questo perchè il ritratto non è solo una riproduzione di un viso ma un interpretazione, da parte del fotografo della personalità del soggetto fotografato.

Shelley Broxton E dato che di interpretazione si tratta non si possono fissare vincoli o limitazioni. Il sorriso di un bambino, i pensieri di un anziano, l’allegria di una ragazza, l’apprensione di una madre, la concentrazione di un artigiano a lavoro non sono fredde riproduzioni delle parti anatomiche di un volto e del suo corpo. Sono emozioni. Riteniamo che proprio “interpretare un’emozione” sia la risposta alla domanda cos’è un ritratto. La fotografia offre delle possibilità infinite sotto questo aspetto. Al contrario di molte altre arti figurative, la nostra macchina fotografica è uno strumento unico capace di fermare nel tempo uno sguardo, un’espressione, un pensiero nello stesso istante in cui si manifesta. Non esiste il segreto per fare un perfetto ritratto. Come in tutte le altre espressione fotografiche il fattore “casualità” gioca un ruolo fondamentale. Tutto quello che possiamo fare è riuscire a seguire alcuni accorgimenti che, se non ci porteranno alla perfezione, quantomeno ci consentiranno di realizzare un bella foto. Rubato o posato.

Partiamo dal presupposto che esistono due tipologie di ritratto. Quello “rubato” e quello posato. In realtà ne esiste una terza ma ne parleremo in seguito. Il ritratto rubato è sicuramente quello che ci porterà ad ottenere più delusioni che gioie. Al contempo, se il fattore “casualità” gioca a nostro favore, la fotografia che riusciremo a strappare sarà unica e irripetibile. Gli elementi che devono coincidere sono tantissimi. Non trattandosi di un soggetto messo in posa non saremo in grado di determinare se e quando un attimo “perfetto” disegnerà il suo volto. E, anche se tale eventualità dovesse presentarsi, non sempre le condizioni della luce e dell’ambiente giocheranno a nostro favore. Inoltre, proprio perché le nostre intenzioni sono quelle di un ladro di emozioni, non possiamo permetterci di rimanere con la macchina fotografica costantemente puntata sul nostro bersaglio. È evidente che sentire su di sé la pressione di un mediotele non è un incentivo ad essere e rimanere spontanei. E allora? E allora niente. Non resta che armarsi di santa pazienza e dello stesso spirito che anima un pescatore di fiume che ben sa che, con molta probabilità, a fine giornata il cerignolo rimarrà vuoto. Per il ritratto posato o ambientato il discorso è differente. Pur rimanendo fermo il punto delle infinite variabili, il fatto che il soggetto sia il nostro complice semplifica, non poco, tutto il lavoro.

Possiamo scegliere la location, la tipologia di illuminazione, l’inquadratura e le focali più indicate. Ecco, ora in molti penseranno “Ma io voglio solo fare un paio di foto ai bambini o alla fidanzata. Ho a disposizione solo la mia reflex. Mica voglio fare chilometri per raggiungere il posto più indicato. E chi me li dà le luci i flash e i fondali” E così via. Bene. Nulla di più sbagliato. La location può essere la stanza più luminosa della casa o quella meno invasa dai panni da stirare e dai giochi dei bambini. La tipologia di illuminazione non è altro che quella bella luce che in certe ore filtra dalla finestra. Un fondale può essere una tenda. La scelta dell’inquadratura non è altro che, per esempio, portare il piano focale all’altezza degli occhi del nostro soggetto e la scelta della focale non è altro che sostituire lo zoom del kit con un più idoneo (ed economico) 50mm f/1,8. Nulla di impossibile. Abbiamo parlato di interpretazione, e interpretazione vuol dire seguire la fantasia coniugandola alle proprie capacità tecniche. Iniziamo a dare qualche spunto. Obiettivi e focali.

Partiamo dagli obiettivi e dalle focali più idonee. In commercio esistono molti obiettivi etichettati “da ritratto”. Il più delle volte si tratta di medio tele molto luminosi. Che le focali si attestino, in generale, dagli 85 mm in su non è un caso. Un minimo di distanza di rispetto è d’obbligo per non far sentire troppo “il fiato sul collo” al nostro soggetto, così come, tendenzialmente, le focali più lunghe soffrono in maniera minore del fenomeno della distorsione. Anche la grande luminosità ha un suo perché. Il più evidente è quello di consentire di fotografare a luce ambiente sfruttando una illuminazione morbida e graduale. A questo va aggiunto un altro aspetto molto apprezzato nella fotografia da ritratto: lo sfuocato o, per dirla con un termine giapponese molto in voga nell’ambiente, il bokeh. Quindi siamo obbligati a fornirci di un obiettivo specifico se vogliamo cimentarci in questo tipo di fotografia? Sì e no. In effetti, per alcune interpretazioni del ritratto, è una “conditio sine qua non” per raggiungere i risultati tanto desiderati. In realtà, come sempre in fotografia, non c’è una regola che ci impedisca di utilizzare un 24mm o un obiettivo studiato e realizzato per la macrofotografia. A questo proposito approfittiamo per sfatare un mito. In molti pensano che la prospettiva del campo inquadrato sia correlata alla focale utilizzata. In realtà. mantenendo costante la distanza della macchina fotografica dal soggetto la prospettiva è identica sia se scattiamo con un 200mm sia con 24mm. Fate una prova. Posizionatevi con il cavalletto da una distanza adeguata e iniziate a fotografare montando in macchina tutto l’arsenale di obiettivi a vostra disposizione. Noterete che è solo l’angolo di campo inquadrato a cambiare ad ogni variazione della focale, e non la prospettiva. Ma allora perché se faccio un primo piano stretto con un 24mm i risultati ottenuti sono a rischio di condanna da parte della Corte dei Diritti Umani? La colpa è da imputare alle distorsioni dell’obiettivo ed al loro amplificarsi per l’esigua distanza che si frappone tra noi e il nostro soggetto. Un grandangolare, salvo rarissime eccezioni, non è mai un obiettivo corretto a breve distanza, figuriamoci che cosa può combinare se ci avviciniamo talmente tanto da coprire il nostro fotogramma con il viso di una persona. E allora le focali corte non vanno bene? Certo che possono andare bene. Abbiamo già detto che il ritratto non è un asettico primo piano strettissimo. Ma bisogna essere in grado di saper controllare e sfruttare a nostro favore l’ampio angolo di campo a disposizione per inserire elementi in maniera equilibrata all’interno della nostra inquadratura. Se invece desideriamo concentrarci solo sulla persona, le classiche focali da 85mm a 200mm risulteranno certamente più adatte. A tal proposito bisogna chiarire il discorso sulla “questione” del sensore APS-C. Come ben sappiamo la maggior parte delle reflex in commercio hanno un sensore più piccolo rispetto al cosidetto Full Frame. Questo comporta che gli obiettivi si ritrovino, mediamente, con un angolo equivalente di campo inquadrato pari ad una focale di 1,5x-1,6x più lunga. In soldoni, a 50mm su formato APS-C, ovvero una porzione del formato pieno, inquadreremo un angolo di campo pari a quella che si riscontra alla focale di 75mm su Full Frame. Ora, che il 50mm si comporti apparentemente come il 75mm non vuol dire che si sia trasformato per incanto in un medio tele. La focale è 50mm e tale rimane in tutte le sue caratteristiche. Pertanto, se si indica l’85mm come una focale idonea per il ritratto, non pensiamo che il 50/60mm siano la stessa cosa. Qualsiasi sia il formato del sensore della vostra reflex 85mm vuol dire, sempre e comunque, 85mm. Location e illuminazione. Una bella modella sotto l’ombra di una palma in una bianca spiaggia caraibica al tramonto sarebbe perfetta. Ovviamente all’illuminazione sarà deputata la nostra squadra di 8 assistenti. Ah, non li avete? Che peccato. Vediamo quindi di accontentarci di quello che abbiamo a portata di mano. Come abbiamo scritto in articoli precedenti l’arte di sapersi arrangiare ha un posto di rilievo nel bagaglio tecnico di un fotografo. Stiamo a casa? E troppo freddo per uscire? Guardiamoci attorno. Dalla porta finestra del salone penetra una luce molto interessante. La tenda bianca poi, sembra essere lì, da sempre, come perfetto elemento fotografico a nostra disposizione. Prendiamo la nostra modella (o il nostro modello) e la guidiamo vicino al vetro in modo che la luce illumini il soggetto nel modo desiderato. Di taglio, di profilo, di trequarti, in controluce. Quante sono le opzioni di illuminazione offerte dalla luce che penetra dall’esterno? Tantissime. Giocando poi con il contrasto dovuto alla illuminazione molto più debole presente all’interno della stanza ci si può divertire a creare schemi di luce perfetti per ritratti in bianco e nero. Vogliamo invece realizzare una foto più delicata e dai passaggi tonali più morbidi? Una qualsiasi superficie riflettente può fare al caso nostro. L’ideale sarebbe una pannello bianco ma, al bisogno, anche un polistirolo o un cartoncino chiaro di adeguate dimensioni può ugualmente essere sufficiente. Posizionandolo in modo da riflettere la luce esterna siamo in grado di illuminare anche la parte opposta del nostro soggetto rispetto alla finestra. Per sfruttare tutte le opzioni offerte da una sola finestra potremmo andare avanti all’infinito. Peccato che ormai si è fatta sera e dobbiamo smettere di scattare. Un attimo però. Perché devo smettere di scattare? Ho una lampadina da 100 watt nell’armadio. Se la monto sulla lampada da tavolo e posiziono il soggetto nella giusta maniera, forse… Forse, anzi certamente, usciranno delle belle foto così come potremmo essere gratificati dall’utilizzare anche altri mezzi di illuminazione di fortuna. Una torcia, un flash, lo schermo di un monitor del computer. una candela. Insomma qualsiasi mezzo per evitare che l’illuminazione del nostro ritratto risulti piatta e anonima. L’abbiamo già detto, non vogliamo fare una fototessera. E per raggiungere il nostro obiettivo possiamo utilizzare tutto quello che abbiamo al momento a disposizione. Se non abbiano dei bank, una lampada di emergenza può andare bene lo stesso. Se siamo all’esterno e non abbiamo un pannello riflettente, un muro bianco potrà ottemperare allo stesso scopo. Non abbiamo la disponibilità di avere un bello sfondo nella fotografia in interni? Ci procuriamo uno scampolo di stoffa nero a buon mercato che ben si adatterà come jolly in mille situazioni. Bastano due mollette e lo appendiamo dove vogliamo. Il ritratto è una fotografia che prescinde dai mezzi e dai luoghi. Certo, un buon obiettivo e una piacevole ambientazione possono aiutare. Ma non sono sempre fondamentali. Gli aspetti invece che non bisogna trascurare sono la cura della composizione e l’equilibrio tra le luci e le ombre. Volti e psicologia. Gli occhi, infatti, sono lo specchio dell’anima e nella descrizione di un volto; e proprio su di essi è focalizzato il punto iniziale di lettura della nostra foto. Utilizzare la messa a fuoco sull’occhio più vicino a noi è una buona regola così come illuminarlo in maniera adeguata. Se vogliamo conservare corrette le proporzioni del viso bisogna fare attenzione a mantenere parallelo il piano focale rispetto al volto e posizionare la macchina fotografica alla giusta altezza in relazione all’inquadratura. Se siamo troppo alti rispetto al soggetto lo comprimiamo, se siamo troppo bassi lo allunghiamo. Lo stesso vale per la luce: se la diamo di taglio dobbiamo stare attenti che le ombre del naso, dei capelli e di tutte le sporgenze non creino antiestetici disegni sul viso. Al contrario, se utilizziamo una illuminazione più omogenea, dobbiamo evitare il rischio di un eccessivo piattume generale. Ma allora, per fare un ritratti, serve così poco? In realtà l’aspetto più importante non è fatto di vetro e metallo, sensori e pellicole, luci e teli colorati. Il fattore psicologico è sicuramente l’elemento cardine sul quale deve ruotare il nostro lavoro. Non tutti si sentono a proprio agio nel sentirsi puntati da una macchina fotografica. Quante volte ci siamo sentiti dire “ No ti prego, non sono fotogenica”, oppure “no oggi no che sono vestita uno schifo”. La fidanzata (o fidanzato) e la moglie (o il marito) dei fotografi si riconoscono subito. Sono in grado di sopportare l’occhio indiscreto di un obiettivo senza scomporsi minimamente. Hanno fatto talmente l’abitudine a questa situazione che riescono, come nulla fosse, continuare a fare quello che stavano facendo senza farci caso. Certo, si tratta più di spirito di sopportazione che di vera e propria capacità professionale nell’arte di posare. Ma almeno non si coprono il viso al momento del “clik”. E allora? E allora se desideriamo cimentarci nel ritratto con amici parenti e affini dobbiamo essere bravi nel far sentire a proprio agio chi poserà per noi in modo che la spontaneità possa disegnare le loro espressioni.

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